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Chiesa di Santa Maria degli Angeli detta del “Santuccio”

Situata poco all'interno dell’attuale Porta Romana, la chiesa di Santa Maria degli Angeli, nota come il Santuccio, fu edificata tra il 1320 e il 1352 da alcune monache dell’ordine di Santa Maria Maddalena provenienti dalla località di Melianda, tra Buonconvento e Serravalle.
Una volta vendute tutte le loro proprietà in quella zona, le monache decisero di fondare un nuovo monastero più vicino alla città nel luogo in cui si trovava Porta dell'Oliviera (oggi non più riconoscibile). A supportare tali monache fu la casata senese dei Santucci, dalla quale la chiesa prese probabilmente il nome. Altra ipotesi di fondazione del monastero, meno attendibile, è da ricercare nella figura della beata Santuccia Tarabelli da Gubbio, abbadessa generale delle monache agostiniane in Toscana che avrebbe fondato la chiesa intorno agli anni ’70 del Duecento. Nella prima metà del Quattrocento le monache di Melianda si fusero con le consorelle di Santa Maria degli Angeli in Valli, fuori Porta Romana.
Notizie sulla chiesa si hanno poi nuovamente nel Cinquecento. In questo secolo il Santuccio attraversò un periodo di rinnovamento con l’inclusione di una cappella dedicata ai santi Agnese ed Ivo risalente al 1527; l’attuale aspetto architettonico è invece frutto del completamento avvenuto nel 1577 con la costruzione di un grandioso altare, realizzato in ossequio ai dettami della Controriforma. Nel XVI secolo, il monastero affrontò anche difficoltà economiche significative, in parte dovute alla crisi causata dalla carestia e dall’instabilità politica. Le monache si trovarono spesso a richiedere aiuti esterni per mantenere le strutture e affrontare le difficoltà finanziarie. Diverse petizioni furono inoltrate alle autorità cittadine, tra cui una del 1541 in cui si richiedeva assistenza per la riparazione del dormitorio, che minacciava rovina.
Evento di particolare interesse per il monastero è l’arrivo, nella notte del 23 marzo 1550 (1549 secondo l’anno senese), del reilquiario duecentesco contenente la testa di San Galgano. A portarlo, appeso al pomo della spada, sarebbe stato un giovane bellissimo dai capelli biondi con sembianze di soldato, un’evidente allusione a San Michele Arcangelo che ricoprì un ruolo fondamentale nella conversione di Galgano. La minacciosa presenza dei soldati spagnoli nella chiesa della Maddalena, dove il reliquiario si trovava, pare avesse giustificato questo trasferimento. L'arrivo della preziosa reliquia a Siena diede slancio a una rinnovata devozione cittadina per il santo, una devozione ben comprensibile alla luce dei numerosi miracoli ad essa attribuiti i capelli che continuavano a crescere dalla reliquia venivano tagliati (in alcuni casi distribuiti a personaggi eminenti entro altri reliquiari) e il solo contatto con essi era capace di guarigioni miracolose più volte documentate da fonti scritte. Il reliquiario – conservato in un vano sull’altare della parete sinistra in origine chiuso da una tavola oggi conservata in Pinacoteca Nazionale (sala 20) attribuita al Maestro di Bolea - rimarrà nella chiesa del Santuccio per più di trecento anni, fino al trasferimento nel Museo dell’Opera del Duomo intorno al 1925. Alcuni ritengono che l’appellativo “Santuccio” attribuito alla chiesa derivasse proprio dalla presenza di questa reliquia di San Galgano, così chiamato poiché morto in età giovanile. Attualmente la chiesa è di proprietà del Ministero della Cultura mentre una parte dell’edificio all’epoca adibito a monastero è, dagli anni Trenta del Novecento, sede dell’Istituto d’istruzione superiore Giovanni Caselli.

La chiesa del Santuccio subì diversi interventi architettonici nel corso dei secoli. L’aspetto attuale è il risultato della ristrutturazione iniziata nel 1567 e terminata un decennio dopo grazie all’intervento del marchese Annibale Bichi, che progettò anche la facciata in laterizi dal gusto peruziano. La chiesa, a navata unica, presenta una struttura semplice con l’altare maggiore sulla parete di fondo, opposta all’ingresso principale. Dietro l’altare, il coro è suddiviso in due locali: uno più piccolo, originariamente adibito a sacrestia, e un altro più grande, dotato di stalli in legno. In un vano in muratura che divide la chiesa pubblica dal coro si trovava uno dei più pregevoli e antichi organi esistenti ( attualmente in restauro). Lo strumento, già presente nella chiesa nel 1531 e ampliato nel Seicento, è dotato di doppia meccanica per poter essere suonato sia dall’interno del coro delle monache che dal lato della chiesa. Il patrimonio artistico della chiesa di Santa Maria degli Angeli comprende numerose opere di rilievo. Sull’altare maggiore si trova una grande tela raffigurante La Madonna, il Bambino e Santi, iniziata da Francesco Vanni nel 1610, proseguita da Ventura Salimbeni e completata da Sebastiano Folli nel 1614. Ai lati dell’altare si trovano due opere: una tela di Antonio Buonfigli del primo quarto del Seicento, raffigurante Santa Cecilia che suona l’organo (dietro la quale si cela il vano per l’organo sopracitato) e l’affresco Il Concerto d’Angeli di Ventura Salimbeni. Questo affresco è datato 1612 così come l’intero ciclo di affreschi che decora le pareti della chiesa. Tale ciclo dipinto dal Salimbeni, la cui lettura parte dalla parete sinistra, narra sei episodi della vita di San Galgano che si snodano con un raffinato programma iconografico tratto dal testo Vita del gloriosissimo San Galgano scritto dal domenicano Gregorio Lombardelli ed edito nel 1577. Le scene sono: Prima visio di San Galgano; La conversione; San Galgano tenta di fare una croce sul Monte Siepi ostacolato dal diavolo; Punizione dei congiurati contro San Galgano; San Galgano libera un’indemoniata; La morte di San Galgano. L’iconografia si adegua alla situazione storica e sociale del tempo mettendo particolare enfasi sulle vicende edificanti del santo, i tratti sono espressivi, fluidi quasi come si trattasse di un’avvincente commedia. L’ambientazione e la composizione delle scene sono resi con cura anche grazie ad una vasta gamma cromatica che passa dai toni chiari a quelli più profondi dei marroni. Erano originariamente nella chiesa del Santuccio le due sculture lignee di Jacopo della Quercia attualmente conservate in Pinacoteca Nazionale nella sala n. 17.

Il Santuccio ebbe un ruolo significativo anche nella tradizione del Palio di Siena. La chiesa fungeva da punto di partenza per il "Palio alla lunga", una versione storica del Palio che si correva lungo le strade cittadine prima dell'introduzione del Palio moderno in Piazza del Campo. La partenza era situata di fronte alla chiesa del Santuccio e i cavalli percorrevano un lungo tragitto attraverso le vie di Siena, giungendo infine alla piazza del Duomo. Il Palio alla Lunga venne ufficialmente inserito nello statuto comunale nel 1310 e rimase una delle tradizioni più importanti di Siena fino alla sua soppressione nel 1861, con l'avvento dell'Unità d'Italia. Nonostante vari tentativi di ripristino, la corsa venne definitivamente abolita nel 1874

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